Storia di Terracina I: dalle origini all’età romana
Una panoramica della storia della città di Terracina, partendo dalle origini (su cui vi sono diverse ipotesi), per giungere all'età romana, fino alle invasioni barbariche del V secolo d.C.
La città è situata al bordo meridionale dell’Agro Pontino, a sud del promontorio del Circeo, verso la foce del fiume Amaseno sulla costa tirrenica, e si sviluppa da una propaggine del Monte Sant’Angelo fino al Lungomare Circe.
La rupe di Pisco Montano segna nettamente il confine meridionale del centro abitato; a sud si apre la pianura di Fondi, a nord l’urbanizzazione digrada progressivamente verso la campagna aperta e i borghi rurali. Nel territorio comunale scorrono i fiumi Sisto e Portatore.
Sulle origini della città esistono diverse ipotesi. Si narra, ad esempio, di un gruppo di esuli Spartani che – fuggiti dalla loro patria – approdarono sulle coste del Tirreno, dove fondarono un villaggio ai piedi del Monte Leano, dove poi sorse un tempio in onore della divinità Feronia. Mantennero le loro usanze e i costumi originari, come l’uso di far cenare gli ospiti non su una tavola imbandita ma sulla terra nuda: da ciò sarebbe derivato il nome della città (Ταρρακινή in greco antico), poi trasformatosi nel latino Tarracina.
Recenti studi, invece, farebbero derivare il nome di Terracina dal vocabolo etrusco Tarchna, collegato anche al nome della città di Tarquinia e dei re di Roma Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo. Secondo lo storico Tito Livio, infatti, quest’ultimo (VI secolo a.C.) avrebbe inviato coloni sul litorale pontino, perché fossero di presidio sul mare.
Il centro storico di Terracina sorge su due modeste alture prospicienti il mare: quella più bassa fu sede dell’abitato originario, mentre su quella più elevata, denominata Colle di San Francesco, venne insediata l’acropoli (corrispondente, grosso modo, all’odierno centro storico).
Le prime fasi storiche sono conosciute solo attraverso le fonti letterarie. Dapprima centro Ausonio, alla fine del VI secolo a.C. la città dovette essere già sotto l’influenza romana, come dimostrerebbe la sua menzione nel primo trattato romano-cartaginese citato da Polibio.
Il testo del trattato è il seguente: «A queste condizioni ci sia amicizia fra i Romani e gli alleati dei Romani e i Cartaginesi e gli alleati dei Cartaginesi: né i Romani né gli alleati dei Romani navighino al di là del promontorio detto Bello, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici: qualora uno vi sia trasportato a forza, non gli sia permesso comprare né prendere nulla, tranne quanto gli occorre per riparare l’imbarcazione o per compiere sacrifici, e si allontani entro cinque giorni. A quelli che giungono per commercio non sia possibile portare a termine alcuna transazione, se non alla presenza di un araldo o di un cancelliere. Quanto sia venduto alla presenza di costoro, se venduto in Libia o in Sardegna, sia dovuto al venditore sotto la garanzia dello stato. Qualora un Romano giunga in Sicilia, nella parte controllata dai Cartaginesi, siano uguali tutti i diritti dei Romani. I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti; nel caso di quelli non soggetti, si tengano lontani dalle loro città: ciò che prendano, restituiscano ai Romani intatto. Non costruiscano fortezze nel Lazio. Qualora penetrino da nemici nella regione, non passino la notte nella regione».
In seguito fu occupata dai Volsci, che le mutarono il nome in Anxur (probabilmente dall’espressione aneu xuru, “senza rasoio”: Giove venerato era fanciullo, quindi ancora imberbe); a questa fase potrebbero spettare alcuni tratti delle mura in opera poligonale visibili in più punti sotto la cinta tardo-antica.
Ma furono i Romani a determinare in modo significativo l’intero assetto sociale, economico e urbano della città che ancora oggi è più che mai presente: altri tratti delle mura appartengono infatti alle fortificazioni che essi, dopo aver riconquistato la città (406 a.C.), realizzarono in occasione della fondazione di una “colonia marittima”, nel 329 a.C.
Alcuni anni dopo – 312 a.C. – la città venne attraversata dalla Via Appia che, unendo Roma con Capua, costituiva un fondamentale asse di penetrazione militare e commerciale verso le ricche zone meridionali della penisola.
Inoltre, con la presenza di un porto, l’importanza di Terracina crebbe: la città, divenuta un notevole centro agricolo per lo sfruttamento intensivo della fertile vallata posta a occidente, cominciò infatti ad ampliarsi nella parte bassa contigua al mare, e questo consentiva un ulteriore sviluppo dei traffici commerciali fra Roma, le città del Meridione e l’Oriente.
Dopo la ristrutturazione, alla fine del II secolo a.C., dell’area sacra dell’acropoli, si ebbe una prima trasformazione urbanistica in età sillana(primi decenni del I secolo a.C.), quando vari monumenti in opus incertum (tra cui il Teatro) vennero realizzati contemporaneamente alla ricostruzione del grandioso santuario di Monte Sant’Angelo (ossia il Tempio di Giove Anxur, le cui rovine sorgono ancora sulla sommità e dominano la parte bassa della città).
Una nuova trasformazione avvenne nella prima età imperiale, tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo: l’edificazione, in forme imponenti, del nuovo Foro da parte del magistrato locale Aulus Aemilius, di cui si può ancora scorgere la scalinata accanto all’Appia.
Insieme alla piazza, circondata da portici, furono inoltre costruiti edifici religiosi e civili, che fecero di quest’area un complesso monumentale degno delle maggiori città dell’impero.
Anche la pianura sottostante il Monte Sant’Angelo risulta urbanizzata, fra il III e il I secolo a.C., lungo la Via ad Portum, la strada che conduceva dalla fertile area agricola della Valle (a nord-ovest della città) al porto di Terracina, per questa età noto quasi esclusivamente dalle fonti letterarie.
Fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. si assiste a una notevole espansione di Terracina bassa: vennero realizzati un secondo foro, impropriamente definito Foro Severiano, l’anfiteatro, di cui rimangono scarsi resti nelle case di Via Martucci, le terme e diversi edifici privati.
Terracina raggiunse il suo massimo splendore durante il periodo imperiale, quando il traffico marittimo si sviluppò a tal punto che l’imperatore Traiano ordinò l’ampliamento del porto, del quale ancora oggi esistono le strutture principali. Fu per rendere più agevole il passaggio dell’Appia attraverso l’estrema appendice dei Monti Ausoni che all’epoca di Traiano venne eseguito il taglio del Pisco Montano, enorme sperone calcareo separato dalla massa del Monte Sant’Angelo che tuttora sovrasta la regina viarum, costituendo un aspetto caratteristico del paesaggio tra il mare e la montagna. Ancora oggi, nei pressi della rupe, è possibile scorgere i numeri romani che segnalano la progressiva altezza del taglio: 120 piedi romani, corrispondenti a 37 metri circa.
Un ultimo significativo intervento si ebbe nei primi decenni del V secolo quando, in occasione delle invasioni barbariche, l’antica cinta muraria volsco-romana fu sostituita da una nuova fortificazione comprendente anche una porzione della città bassa, la quale doveva essere già in gran parte abbandonata: la nuova cinta muraria racchiuse infatti solo una piccola porzione dell’area, e la sua funzione era, esclusivamente, quella di proteggere un tratto dell’Appia.